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Zuppiera Galvani periodo decò anni ’30

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Zuppiera Galvani periodo decò anni ’30

Galvani creazioni

Periodo deco anni ’30

Zuppiera Galvani decò in terraglia con decorazioni ad aerografo nei toni del nero grigio verde su fondo bianco cremisi, a motivo tipicamente geometrico.

Diametro 24 cm.

Ottime condizioni e stato di conservazione.

 

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Descrizione

Zuppiera Galvani periodo decò anni ’30

Zuppiera Galvani creazioni

Zuppiera Periodo deco anni ’30

Zuppiera Galvani decò in terraglia con decorazioni ad aerografo nei toni del nero grigio verde su fondo bianco cremisi, a motivo tipicamente geometrico.

Zuppiera con diametro 24 cm.

Zuppiera in ottime condizioni e stato di conservazione.

Zuppiera

Zuppiera. La manifattura Galvani sorse nel 1811 per iniziativa dell’avv. Giuseppe Galvani e fu, tra le attività industriali della famiglia Galvani (seta, carta, liquori, inchiostri), la più recente. La produzione iniziale comprendeva le terrecotte, “argille di monocottura, ad uso di portavasi, scaldaletto, ricoperte in seconda cottura dalla vernice trasparente[1], e le cristalline, “la stessa argilla rossa ricoperta da un leggero strato di terra bianca che consente una pseudo-terraglia, una superficie bianca su cui effettuare la decorazione[2]: erano prodotti di massa, senza pretese estetiche particolari, destinati a una clientela povera, alle classi lavoratrici.

La Manifattura Galvani di Cristallina e Terraglia e l'incendio del 1921. - Storia Storie Pordenone

Zuppiera

I dipendenti passarono dagli undici al momento della fondazione nel 1811, ai centouno del 1823, così distribuiti: novantatré operai, un agente di bottega, un direttore e sei operai addetti alla cava di argilla di via Revedole. Alla fine degli anni ’30 la manifattura arrivò ad occupare centotrentotto addetti, fu l’industria di maggiori dimensioni della città dopo la fabbrica di tele Nasoni. Sede della Ceramica Galvani fu l’ex-convento di San Antonio, adiacente al lato Nord-Ovest delle mura cittadine. Nel 1811 la fornace era posta nell’abside dell’ex chiesetta e il laboratorio nei locali dell’ex-complesso monastico. Nel 1823 vi erano quattro fornaci, due macchine contenenti trenta macine e venti torni. Sempre nel 1823 la produzione era di 55.000 pezzi l’anno, con un ricavo totale di lire ital. 86.212[3]. La crescita maggiore avvenne nel primo decennio di vita della ditta; la Galvani continuò poi a svilupparsi più lentamente per tutta la restante parte del diciannovesimo secolo.[4] Nel 1872 gli operai scesero a 120 e nel 1921 ascendevano a circa 300.[5]

Vaso con decoro a fasce sui toni del verde e del grigio Angelo Simonetto, Manifattura Galvani Pordenone, anni Trenta | Antiquariato su Anticoantico

Zuppiera

Nel 1921 “la cottura dei prodotti in ceramica veniva fatta in sei grandi fornaci a parecchi piani rivestite interamente da mattoni refrattari inglesi; altri forni minori servivano alla bruciatura del piombo e del gesso da presa. Molte altre innovazioni, meccaniche e chimiche vennero apportate per perfezionare i prodotti della fabbrica i quali si eseguivano mediante numerosi torni disposti nei vasti saloni. Questi saloni, nonché gli ampi magazzini di deposito erano ubicati addosso alle fornaci per utilizzare il calore e per abbreviare le distanze nei trasporti e rimaneggiamenti interni dei prodotti ceramici, sia allo stato umido che dopo la cottura. Zuppiera.

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Zuppiera

Con tale disposizione dei locali si erano bensì limitate il più possibile le rotture inevitabili in tal genere di industria ma si era sacrificato completamente dal lato dell’estetica e dell’igiene lo stabilimento tanto che da molto si richiedevano dei lavori [di ristrutturazione] radicali.

La rinomanza che godevano questi prodotti era dovuta alla loro consistenza al fuoco per cui trovavano facile spaccio non solo in tutta Italia ma anche all’estero specialmente nei grandi centri d’Oriente, come Alessandria.[6]

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Zuppiera.

Lo sciopero dell’aprile 1903

Tutto iniziò per una multa di 25 centesimi – così sosteneva Luciano Galvani, il direttore della manifattura – applicata ad un operaio per l’infrazione del regolamento interno. Ma l’operaio ritenne la multa ingiusta e non la pagò, per questo la direzione lo licenziò.

Il 7 aprile 1903 “a seguito dell’avvenuto licenziamento di questo operaio i 98 aderenti alla Lega dei Stovigliai[7] per atto di solidarietà con il compagno abbandonarono il lavoro chiedendo la revoca del licenziamento. Nello stabilimento lavoravano altri 150 operai che non erano iscritti alla Lega e per questo rimasero al lavoro.”[8]

Nei giorni successivi nonostante i molti sforzi, da parte del segretario della Camera del Lavoro di Udine e Provincia, Pietro Barbui, non si giunse a nessuna composizione dello sciopero poiché alla base dello sciopero “non vi era una multa di cent. 25 ma la responsabilità di un atto odioso ed arbitrario di un assistente della fabbrica”. All’interno della fabbrica la direzione aveva instaurato un clima di vessazioni e umiliazioni.

Il rappresentante della Camera del Lavoro si fece in quattro per raggiungere la conciliazione ma tutti suoi sforzi s’infransero contro la determinazione del cav. Luciano Galvani che si rifiutò di trattare con qualsiasi rappresentante della Lega. Gli scioperanti allora elessero una commissione di sette membri che sedeva in permanenza presso il Circolo socialista.

Zuppiera. L’8 aprile l’On. Monti e il Sindaco Polese si recarono dal cav. Galvani per tentare un amichevole componimento della vertenza. Ma nessun risultato uscì dall’incontro. Per il giorno dopo (9 aprile) fu previsto un grande comizio, per spiegare alla cittadinanza le ragioni dello sciopero, con l’intervento del segretario della Camera del Lavoro Pietro Barbui.

Servizio da tè, Angelo Simonetto, manifattura Galvani, Pordenone, prima metà anni Trenta - MilanoPlatinum.com

Zuppiera. Tutta la città si schierò a fianco degli scioperanti e alle ore 20 del 9 aprile 1903 si tenne il comizio che riuscì imponente: “il Salone Cojazzi era completamente gremito; oltre mille i presenti, molti per la folla enorme dovettero ritornarsene a casa. Presiedette lo studente Giuseppe Ellero che parlò splendidamente sulle ragioni generali dell’agitazione, sulla influenza eminentemente civile esercitata dalla Camera del Lavoro e sul movimento proletario. Il signor Barbui ringraziò l’amico Ellero per le cortesi parole rivoltegli espose obiettivamente e lucidamente i fatti che diedero origine alla attuale vertenza e si espresse con tale calma con tale freddezza che sorprese quanti ne conoscevano l’indole vivace e battagliera. Indi fra un uragano di applausi sorse a parlare il Consigliere provinciale avv. Carlo Policreti oratore del Comizio . Fu semplicemente meraviglioso e destò nel comizio fremiti di commozione ed entusiasmo. Si votò il seguente ordine del giorno: “Il Popolo di Pordenone radunato in pubblico Comizio, udita l’esposizione dei fatti che determinarono lo sciopero degli stovigliai ascritti alla Lega di miglioramento, udita la deliberazione della Camera del Lavoro di Udine in ordine allo sciopero stesso pur deplorando a sua volta che esso sia stato dichiarato repentinamente e senza attendere comunicazioni ed istruzioni dalla suddetta Camera del Lavoro riconosce che appunto in quella determinazione improvvisa sta tutta la sincerità e la spontaneità del sentimento di solidarietà che animava gli operai ad abbandonare il lavoro in segno di protesta contro un provvedimento disciplinare che secondo essi aveva colpito ingiustamente un loro compagno. Plaude a quel sentimento elevatissimo ed ammira lo spettacolo e la prova data dagli operai di un sacrificio per conseguimento dei diritti lesi di un compagno di lavoro; fa voti affinché lo sciopero possa trovare un’equa soluzione e accorda agli scioperanti tutto il suo appoggio morale e materiale”. L’ordine del giorno venne approvato all’unanimità e a sperarsi che le autorità locali interpreti fedeli dei sentimenti della cittadinanza così solennemente espressi voglia ritentare la prova per un amichevole componimento.[9]

Nei giorni successivi l’atteggiamento intransigente del cav. Galvani non mutò e lo sciopero continuò con l’appoggio delle altre leghe di resistenza. In una nuova assemblea degli Stovigliai:

“… i rappresentanti di tutte le leghe, dichiararono a nome di tutti gli associati di accordare agli scioperanti tutto il loro appoggio morale e materiale, di aprire sottoscrizioni periodiche, di lavorare delle giornate a tutto beneficio degli scioperanti e, al caso, dar loro anche tutti i loro fondi di cassa. La cosa viene accolta con ovazione e deliberata la persistenza assoluta.[10]

Lo sciopero proseguì fino al 18 aprile 1903 ma la direzione della manifattura non cedette nemmeno di fronte alla minaccia di uno sciopero generale. Le autorità giudiziarie disposero per scongiurarlo lo stato d’assedio e l’invio di truppe.

La vertenza si chiuse con la sconfitta operaia: il 19 aprile gli operai tornarono al lavoro. Otto operai furono espulsi dalla fabbrica: l’operaio per cui si era iniziato lo sciopero e l’intero gruppo dirigente della Lega stovigliai.

 

 

L’incendio del 1921

Il 20 dicembre 1921 verso le ore 1,45 antimeridiane, “la guardia notturna Luigi Romano, passando davanti la grande fabbrica stoviglie della ditta Galvani, posta in Via Mazzini vicino alla Piazza, in vicinanza della Banca di Pordenone e del Caffè Nuovo, vide con spavento un subitaneo bagliore ed una colonna di fumo acre e denso elevarsi tutto intorno alla imponente ciminiera. Si diede a gridare al fuoco e corse subito ad avvertire i carabinieri. Per cause che ancora si ignorano, ma che sono senza dubbio fortuite, si era sviluppato un incendio nel locale ove sono allineati i sei forni. In un baleno le fiamme si elevarono altissime, turbinando faville che ricadevano sui tetti vicini mettendo in serio pericolo i fabbricati contigui e segnatamente quelli della Banca di Pordenone.

Accorsero subito i pompieri, operai degli stabilimenti con pompe, i soldati di guarnigione e una folla di cittadini mentre si provvedeva ad avvertirei pompieri di Udine, che furono sul luogo in poco meno di un’ora. Ma intanto il fuoco aveva preso proporzioni vastissime. Era un immane braciere che illuminava il cielo di un bagliore rossastro, visibile a parecchi chilometri. Alle 2,30, con fragore, crollava il tetto.

… Ormai ogni opera per spegnere l’incendio riusciva vana, e fu allora provveduto ad isolare il fuoco, salvando il reparto magazzini e i fabbricati vicini.

Ma tutte le sale delle macchine, quelle delle materie prime ed i sei forni che costituivano la parte più importante della fabbrica, andarono rovinati, distrutti.

Alle nove dalle macerie ardevano ancora i tizzoni delle travi, l’incendio, benché domato dopo tante ore di gravoso lavoro, non si poteva ancora dire spento. Davanti a quelle rovine, fumanti si accalcava la folla e tra la folla gli operai, della manifattura Galvani, che rimanevano senza lavoro.[11]

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