Lampadario in vetro di Murano Barovier e Toso
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Lampadario in vetro di Murano Barovier e Toso.
Lampadario periodo anni 30/40.
Lampadario fondo bianco con righe turchesi e color melanzana.
Lampadario con impianto elettrico funzionante e originale.
Lampadario in ottime condizioni.
Descrizione
Lampadario in vetro di Murano Barovier e Toso.
Lampadario periodo anni 30/40 del novecento.
Lampadario in condizioni ottime.
Lampadario con fondo bianco con righe turchesi e colori melanzana.
Lampadario con impianto elettrico funzionante e originale.
Lampadario Introvabile.
Un po’di informazioni:
La Barovier & Toso è una azienda vetraria di Murano a Venezia.
L’attività imprenditoriale della famiglia Barovier iniziò alla metà del XIII secolo ed è per questo la sesta impresa familiare più antica del mondo tuttora in attività.
Come Fratelli Barovier venne rifondata nel 1878, divenendo quindi Artisti Barovier.
Nel 1942, con la fusione con le vetrerie F.lli Toso, assunse il nome attuale.
Vecchia sede della vetreria artistica Antonio Barovier a Murano (a destra). Foto di Paolo Monti, 1968.
I Barovier (citati anche come Beroverius, Boroverius, Beroviero, Beroero, Berodero e Broio) erano una famiglia di probabili origini trevigiane, sebbene il cognome potrebbe derivare da Berry, regione francese da cui provenivano numerosi soldati di ventura. Lampadario
Dopo aver trascorso un periodo a Castelfranco, passarono a Murano dove sin dalla metà del Duecento è documentato un Antonio di professione phiolarius (soffiatore di fiale, cioè bottiglie).
Vetraio fu anche il figlio Simone, ricordato in scritti del 1310. Lampadario
Poco più tardi è citato un altro Antonio e suo fratello Bartolomeo; quest’ultimo dovette essere un personaggio di spicco nell’industria vetraria muranese, tant’è che in un atto del 1348 è definito Phiolarius principalis.
Vanno poi ricordati i tre figli di Bartolomeo, Simone, Giuliano e Iacopo (o Iacobello), il quale, attivo anche a Padova (1416) ebbe altri dieci figli.
Non si sa pressoché nulla sull’attività dei primi Barovier. Lampadario
L’unica cosa certa è che realizzavano bottiglie, quindi vetri di uso comune, mentre non si hanno notizie né sulle loro vite, né sulle opere.Lampadario
Di certo fu questo un periodo assolutamente fortunato per l’industria vetraria muranese, in piena espansione.
Uno dei figli di Iacopo, Salvatore, è ricordato nel 1447 per aver realizzato dei vetri poi decorati da Elena De Laudo.
Tuttavia è a partire da Angelo di Iacopo e dai suoi numerosi figli che si hanno notizie precise su vere e proprie produzioni artistiche. Lampadario
Con la morte di quest’ultimo (1461), l’azienda passava nelle mani dei figli Marino e Maria.
Il primo fu particolarmente apprezzato dai contemporanei (è citato nel Trattato del Filarete) anche come produttore di smalti da mosaico, vetri colorati e vetrate dipinte.
Sua era una finestra della cappella Ballarin nella chiesa di San Pietro martire, disegnata da Bartolomeo Vivarini e andata distrutta nell’Ottocento.
Alla sua morte, avvenuta attorno al 1490, gli successe il fratello Giovanni. Lampadario
Maria fu invece impiegata nella produzione dei vetri dipinti a smalto e a lei si attribuiscono le decorazioni della pregevole Coppa Barovier, oggi conservata nel Museo del vetro.
Ci è pervenuto un Inventario della bottega risalente al 1496.
Vi sono elencati le produzioni più tipiche della fabbrica: coppe di vetro azzurro o bianco (lattimo), vasi di calcedonia, tazze di circostanza. Lampadario
Altri membri della famiglia furono un altro Angelo, forse da identificare con un Anzoletto di Ludovico, noto sin dal 1494 e che lavorò per Isabella d’Este; Giovanni di Iacopo, gastaldo dell’arte nel 1500; Niccolò, giudice di Murano nel 1524 e nel 1531; Marco, altro gastaldo dell’arte (fine XVI secolo); Zuane “Campana”, citato come maestro perfeto de cristali (1674); Domenico, attivo a Maiorca e citato nel 1605.
La ditta Fratelli Barovier venne rifondata nel 1878 da Benvenuto e Giuseppe Barovier, divenendo quindi Artisti Barovier. Alla fine del XIX secolo i fratelli Benvenuto e Giuseppe Barovier introducono la lavorazione detta dei murrini fusi, utilizzata per creare tessuti vitrei per opere figurative, floreale e motivi astratti. Lampadario
All’inizio del XX secolo la ricerca vetraria sviluppata permette di ottenere due brevetti per la produzione del “vetro madreperla” e il “rosso corniola senza oro”. Lampadario
Nel 1926 Ercole Barovier, figlio di Benvenuto, assume la direzione artistica dell’azienda, che nel 1942, si fonde con le vetrerie F.lli Toso, assumendo il nome attuale di Barovier & Toso. Ercole inventò la nuova tecnica della colorazione a caldo senza fusione del vetro.
Il Palazzo Contarini a Murano, attuale sede della Barovier & Toso, ospita anche il Museo privato di arte vetraria Barovier & Toso.
IL VETRO DI MURANO
Il vetro di Murano è il vetro artistico lavorato a Murano, isola della laguna di Venezia.
Tradizionalmente è realizzato con un “metallo” di soda-calcica ed è tipicamente decorato in modo elaborato, con varie tecniche di formatura del vetro “a caldo”, nonché doratura, smalto o incisione. Lampadario
La produzione è concentrata nell’isola veneziana di Murano sin dal XIII secolo.
Vetro di Murano (trasperente blu), vaso biansato, fine XVI–inizio XVII sec. – Ermitage.
Oggi Murano è nota per il suo vetro artistico, ma ha una lunga storia di innovazioni nella produzione del vetro oltre alla sua fama artistica ed è stata il principale centro d’Europa per il vetro di lusso dall’alto medioevo al Rinascimento italiano.
Nel XV secolo i vetrai muranesi crearono il cristallo, che era quasi trasparente e considerato il vetro più pregiato del mondo.
I vetrai di Murano svilupparono anche un vetro di colore bianco (vetro di latte chiamato lattimo) che sembrava porcellana. In seguito sono diventati i migliori produttori di specchi d’Europa.
In origine, Venezia era controllata dall’Impero Bizantino (Venezia marittima) ma alla fine divenne una città-stato indipendente.
Fiorì come centro commerciale e porto marittimo. I suoi collegamenti con il Medio Oriente aiutarono i locali vetrai ad acquisire competenze aggiuntive, poiché la produzione del vetro era più avanzata in aree come la Siria e l’Egitto.
Sebbene la produzione del vetro veneziano nelle fabbriche esistesse già nell’VIII secolo, si concentrò per legge a Murano a partire dal 1291 poiché le fabbriche di vetro spesso prendevano fuoco e collocarle sull’isola secondaria eliminò gran parte della possibilità di un disastroso incendio nella capitale lagunare.
I vetrai veneziani hanno sviluppato ricette e metodi segreti per la produzione del vetro e la concentrazione della produzione vetraria di Venezia sull’isola di Murano ha consentito un migliore controllo di quei segreti.
Murano divenne così il centro della produzione del vetro di lusso in Europa, raggiungendo il picco di popolarità nel XV e XVI secolo.
Il predominio di Venezia nel commercio lungo il Mediterraneo creò una ricca classe mercantile che era un forte conoscitore delle arti. Ciò contribuì a stabilire la domanda di vetro artistico e d’innovazioni.
La diffusione del talento vetraio in altri paesi europei diminuì l’importanza di Venezia e dei suoi vetrai muranesi.
L’occupazione e lo scioglimento dello stato veneziano da parte di Napoleone Bonaparte nel 1797 provocò grandi disagi per l’industria vetraria di Murano.
La produzione del vetro di Murano rinacque negli Anni ’20.
Oggi Murano e Venezia sono attrazioni turistiche e Murano ospita numerose fabbriche di vetro e alcuni studi di artisti individuali.
Il suo Palazzo Museo del Vetro a San Giustinian contiene mostre sulla storia della lavorazione del vetro e campioni di vetro che vanno dall’epoca egizia fino ai giorni nostri.
Per ulteriori informazioni su Barovier e Toso: https://www.barovier.com
UN PO’ DI STORIA SUL VETRO DI MURANO
L’area in cui poi sorgerà Venezia in epoca pre-romana rappresentava la zona dell’Alto Adriatico, il punto d’arrivo di tutti gli scambi marittimi con le coste orientali del Mediterraneo. Tra tutte le merci giunte dall’Oriente, il vetro godeva di un ruolo di rappresentanza. A riprova di ciò attraverso scavi effettuati per la bonifica di edifici storici, sono state repertate strutture abitative di epoca romana, per cui ufficialmente si pensava che la città di Venezia fosse sorta dai transfughi delle città romane fuggiti nella Laguna per trovare scampo dai barbari. Da ciò si può capire che l’arte veneziana del vetro provenga direttamente da quella romana dell’Alto Adriatico e, comunque, il vero e proprio sviluppo si ebbe nel Medioevo. A quel tempo, piccole comunità crebbero in Laguna e Venezia divenne la più importante. La città nell’XI secolo dominò il commercio tra Europa, Nordafrica e Medio Oriente, costituendo una talassocrazia grazie ad una potente flotta sia commerciale sia militare. Molti crociati europei sono passati da Venezia in viaggio da e per la Terra Santa. A Venezia si compravano e vendevano tesori di vario genere: spezie, metalli preziosi, pietre preziose, avorio, sete e vetro. Il successo commerciale creò a Venezia un patriziato di nobili-mercanti che divennero mecenati della famosa arte e architettura di Venezia.[2] Lampadario
Si pensa che la produzione del vetro a Venezia sia iniziata intorno al 450, quando i vetrai di Aquileia si rifugiarono nelle isole per sfuggire agli invasori barbarici.[N 1] Le prime testimonianze archeologiche di una vetreria nella zona provengono dall’isola lagunare veneta di Torcello e risalgono al VII-VIII secolo[6] e nel 982 d.C. compare il nome di un artigiano vetraio a Venezia, cui seguirono altri. Ai vetrai originari veneziani si unirono i vetrai di Bisanzio e del Medio Oriente che arricchirono le loro conoscenze sulla lavorazione del vetro.[5] Il vetro è stato prodotto in Medio Oriente molto prima che in Europa, sebbene il vetro dell’antica Roma prodotto in Italia, Germania e altrove potesse essere estremamente sofisticato.[N 2] I primi prodotti includevano perline, vetro per mosaici, gioielli, piccoli specchi e vetri per finestre.[9] Lampadario
I vetrai veneziani cominciarono a praticare quest’arte ereditando l’uso del vetro sodico dagli orientali. Tale composizione si adatta a lavorazioni a caldo e in questo si distinsero per il gusto estetico e l’uso di più colorazioni. Lampadario.
La capacità estetica per i veneziani è fondata sull’intuizione che il vetro sia un materiale estremamente malleabile e quindi adatto ad essere soffiato e modellato allo stato incandescente, ma capace di mantenere le stesse caratteristiche cromatiche anche nel prodotto finito. Lampadario.
Questo differisce dalla tradizione nordica, che sostiene che il vetro sia l’equivalente della pietra dura e quindi che l’abilità risieda nel valorizzare gli oggetti attraverso il taglio. Lampadario.
Nel XIII secolo il predominio risultò nettamente degli artigiani muranesi. Ciò fu dovuto al fatto che le vetrerie si concentrarono naturalmente nell’isola di Murano, tanto che nel 1291 lo Stato stabilì la distruzione di vetrerie costruite a Venezia deputandone a Murano l’origine storica.[1] Lampadario.
La lavorazione del vetro era ormai divenuta importante per l’economia di Venezia e della Laguna. Intorno al 1271 la corporazione dei vetrai locali stabilì regole per aiutare a preservare i segreti della lavorazione del vetro. Lampadario.
Era vietato divulgare segreti commerciali al di fuori di Venezia. Se un vetraio lasciasse la città senza permesso, gli sarebbe stato ordinato di tornare. Se non fosse tornato, la sua famiglia sarebbe stata imprigionata. Lampadario.
Se ancora non fosse tornato, sarebbe stato inviato un assassino per ucciderlo. Regole aggiuntive specificavano gli ingredienti utilizzati per la fabbricazione del vetro e il tipo di legno utilizzato come combustibile per le fornaci.[10]
Murano
Si ritiene che la vetreria ebbe origine a Murano intorno al X secolo[11], con notevoli influenze asiatiche ed arabe, dal momento che Venezia era un importante porto commerciale. Lampadario.
La fama di Murano come centro di lavorazione del vetro nacque quando la Repubblica di Venezia, per prevenire l’incendio degli edifici della città (all’epoca in gran parte costruiti in legno), ordinò ai vetrai di spostare le loro fonderie a Murano nel 1291.
Contrariamente agli altri paesi in cui le vetrerie sorgevano nelle sedi di produzione delle materie prime o del combustibile, Venezia e Murano hanno sempre importato tutti i materiali come il silicio vetrificante, la soda fondente ed altro, da luoghi lontani, compresa la legna, combustibile fino al secolo scorso, che arrivava dalle coste istriane e dalmate. La vera qualità dell’isola di Murano, però, era l’uomo con la sua esperienza, che nel tempo ha perfezionato gli stili, la qualità e l’abilità nel modellare il vetro incandescente. Lampadario.
Questi artisti del vetro sono sempre stati contattati fin dal Rinascimento per portare nelle corti e nelle botteghe la loro abilità, tanto da diventare maestri. Infatti, per questa ragione, a Murano si attivò una scuola del vetro che avviava i giovani a questo mestiere anche se l’esperienza in vetreria restava unica. Lampadario.
Nel Medioevo e nel Rinascimento il vetro di Murano era richiesto dalle classi sociali più elevate d’Europa a cominciare dall’invenzione del cristallo nel 1450 circa; infatti il cristallo è una qualità di vetro che si differenzia e che conferisce al vetro stesso delle caratteristiche peculiari dovute alla medesima base di silicio ma ad una percentuale maggiore di ossido di piombo (24%)[12], per cui i prodotti creati risultavano particolarmente raffinati da soddisfare la richiesta di clienti estremamente facoltosi. Lampadario.
Nel periodo barocco la ricerca si trasformò attraverso l’esecuzione di oggetti ad effetto quali i lattimi, ossia composizioni a base di silicati, stagno e piombo con aspetto bianco latte da cui l’etimologia[13], che si accostavano perfettamente ai mobili del Settecento veneziano anche nell’epoca decadente della Repubblica di Venezia. Dopo la fine della Repubblica di San Marco nel 1797 la rinascita dell’artigianato del vetro avvenne nella seconda metà del XIX secolo e le vetrerie che nacquero elaborarono tecniche ancor oggi in uso e che hanno dato luogo alla vetreria contemporanea e di design[14].
La categoria dei vetrai di Murano divenne ben presto quella più in vista nell’isola: infatti, dal XIV secolo i vetrai furono autorizzati a portare spade, godettero dell’immunità dai procedimenti giudiziari da parte dello Stato veneziano e alle loro figlie fu permesso di sposarsi con le più benestanti famiglie di Venezia. Lampadario.
Tuttavia i vetrai non furono mai autorizzati a lasciare la Repubblica. Molti artigiani corsero il rischio a impiantare i forni di lavorazione nelle città circostanti o in paesi lontani come l’Inghilterra e i Paesi Bassi. Alla fine del XVI secolo, tremila persone sui settemila abitanti dell’isola di Murano erano coinvolti in qualche modo nel settore del vetro. Lampadario.
Per diversi secoli, i vetrai di Murano mantennero un monopolio sulla qualità del vetro, sullo sviluppo o perfezionamento delle tecniche, tra cui quelle del vetro cristallino, del vetro smaltato, del vetro con fili d’oro (avventurina), del vetro multicolore (millefiori), del vetro-latte (lattimo) e delle pietre preziose imitate in vetro. Lampadario.
Oggi, gli artigiani di Murano stanno ancora impiegando queste secolari tecniche, in ogni lavorazione: dall’arte contemporanea di vetro alle figurine di vetro di Murano, fino ai lampadari e tappi del vino. Lampadario.
All’inizio del secolo XXI Murano rimane sede di un vasto numero di fabbriche e di studi-laboratori di singoli artisti che creano ogni sorta di oggetti in vetro sia per la commercializzazione di massa sia per sculture originali. Lampadario.
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Il Quattrocento
Inizialmente il vetro soffiato aveva scopo utilitaristico ed infatti se ne conserva poca documentazione, mentre nel 1400 a Venezia si cominciò a produrre l’oggetto in vetro anche con scopo puramente artistico-estetico; tra gli artisti si può menzionare Antonio da Codegoro. Nella seconda metà del XV secolo comparvero opere di pittori su vetro cristallino quali: Pietro de Zorzi Cortiner, Filippo de Catanei della Sirena, Valentino Ungaro, Alvise da Segna, Zuane Maria Licini, Zuane Maria Leopardo ed altri i quali usarono smalti colorati fusibili. Questo vetro chiamato cristallino poiché estremamente puro, sembrerebbe essere stato creato da Angelo Barovier (1405-1460) discendente da una famosa dinastia di vetrai ancora operativa nell’isola di Murano. Riferendoci alla creazione del cristallo, il vetro cristallino che nasce trasparente e in seguito colorato, nel XV secolo, più spesso, veniva prodotto e lasciato incolore come il cristallo di rocca, quindi cristallo. Questo materiale trasparente male si sposava però con le decorazioni smalto opaco e spesso, quindi con il tempo le decorazioni divennero sempre più leggere ed eseguite a puntini smaltati o dorati, produzione che continua fino al primo quarto del XVI secolo.
In questo secolo, oltre al cristallo decorato o al vetro bianco trasparente decorato con il lattimo utilizzato a filigrana (lunghe e sottili canne inserite nel vetro trasparente), si decorò il vetro con l’incisione a punta di diamante o pietra focaia, che graffiava la superficie del vetro con un disegno prestabilito, su invenzione di Vincenzo di Angelo Dal Gallo nel 1534 che fu usata dando l’immagine del cristallo come avvolto da un fine merletto. Altro tipo di lavorazione dell’epoca fu il “vetro ghiaccio”, rugoso e screpolato all’esterno, lucido ma non trasparente. La decorazione avveniva applicando il colore a freddo sul rovescio degli oggetti ed utilizzando i soggetti dei dipinti di artisti come Raffaello o Primaticcio; a testimonianza il piatto con “Le due donne dormienti” che con molta probabilità fu eseguito da Marcantonio Raimondi rivisitando un dipinto di Raffaello. Verso la fine del secolo si diffusero i vetri decorati “a penne” usando il lattimo avvolto in fili “pettinati” a festoni con uno speciale attrezzo. Nella seconda metà del Cinquecento gli oggetti divennero più complessi ed articolati perché trattati con la lavorazione a pinza. Nel XVI secolo con la diffusione e la fama del vetro di Murano in tutta Europa i maestri vennero chiamati a lavorare in vetrerie estere soprattutto nei Paesi Bassi, in Germania, in Inghilterra e in Spagna. Tra le famiglie più note della seconda metà del XV secolo si annoverano: i Barovier, i Mozzetto, i Della Pigna e nel XVI secolo le dinastie dei Ballarin, dei De Catanei della Sirena, dei D’Angelo Dal Gallo, dei Bortolussi e dei Dragani.
Nel Seicento non vennero prodotti oggetti particolarmente innovativi, ma poi il vetro si contraddistinse per la produzione di manufatti chiamati à la façon de Venise prodotti all’estero con artigiani locali o molto spesso da maestri vetrai muranesi espatriati. Questi, assecondando il gusto dei paesi ospitanti, enfatizzarono i motivi del decoro barocco comparsi nel secolo precedente anche sul vetro colorato, come ad esempio la decorazione dei gambi sui calici denominati “ad alette”. Purtroppo questo secolo rimarcò il grande esodo dei maestri muranesi che trovarono dimora nelle grandi città del Nord Europa più per la miseria dovuta alla rigidità delle leggi repubblicane che da obiettivi economici. Ed è infatti in questo periodo che l’arte del vetro cominciò a decadere pur avendo validi artisti, dando spazio all’affermazione del vetro boemo. Questo vetro, nato negli anni settanta–ottanta, più terso e pesante di quello veneziano, poteva essere lavorato con maggior facilità sia ad intaglio che ad incisione non più a graffio ma a rotella. Quindi, paradossalmente, alla fine del secolo a Venezia si imitavano le incisioni a rotella dai vetri boemi.
Per tentare di uscire dalla grave crisi in cui si era imbattuta l’arte vetraria all’inizio del secolo, il muranese Giuseppe Briati avviò una produzione di vetro simile per composizione a quella dei vetri boemi, senza imitare le opere ma tentando di vincere la concorrenza. Per quanto riguarda i vetri incisi a rotella, tecnica anch’essa boema, seppur variandone la foggia, dovettero essere chiamati cristalli “all’uso di Boemia”. Ciononostante, la produzione di Briati, approvata dal Consiglio dei Dieci del 1737, ebbe un enorme successo. Tra gli oggetti più noti si annoverano le “chiocche”, lampadari a molti bracci decorati da festoni, fiori e foglie, i “deseri” centri tavola, gli specchi di cristallo colorato e il famoso “lattimo” che imitava la porcellana. A Murano il lattimo era opera soprattutto della famiglia Miotti e dei fratelli Bertolini, che nel 1739 avevano ottenuto dalla Repubblica di Venezia l’esclusiva di decorarlo in oro. Quest’epoca è anche quella della produzione di vetri mimetici come il “calcedonio”, l'”avventurina” ed i vetri soffiati decorati a smalto a caldo. Maestri di tale tecnica furono Osvaldo Brussa e suo figlio Angelo Brussa, dei quali con i soggetti caratterizzati da fiori, frutta, animali, scene sacre e profane, giungiamo all’inizio dell’Ottocento. Non va dimenticato che il vetro trova applicazione pratica attraverso la creazione di oggetti d’uso domestico, quali le ampolle per l’olio e l’aceto, le lampade da tavolo alla fiorentina, i vassoi, i cestini, i centro tavola e come materiale decorativo d’arredo. Per quasi tutto il Settecento grande importanza godette lo specchio veneziano incorniciato da decori, smalti ed incisioni, che a volte comparvero sulla superficie. Successori di Briati furono Giacomo Giandolin, Lorenzo Rossetto e Zuane Gastaldello, Vittorio Mestre, la Compagnia di Cristalli Fini ad Uso di Boemia, Antonio Motta, Vincenzo Moretti e C.
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L’Ottocento
Con la Caduta della Repubblica di Venezia, nel 1797 cominciò per la città una crisi industriale e occupazionale, poiché nel 1806 i decreti napoleonici sancirono l’abolizione delle corporazioni artigianali, e quindi l’opera dei vetrai perse la tutela della Mariegola dell’Arte; in più le fornaci soffrirono la concorrenza della Boemia, Stiria e Carinzia, delle cui produzioni in vetro abbondavano i nostri mercati. Inoltre, l’imponente emigrazione dei vetrai, diffuse i segreti professionali mentre le materie prime importate e i prodotti esportati, subirono l’alto peso della tassazione. Una stasi si manifestò, quindi, tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo, sia a livello tecnico che estetico, anche se si continuava molto rozzamente la tradizione dei vetri dipinti a smalto dei Brussa. La rinascita fu merito nel 1838 di Domenico Bussolin e di Pietro Bigaglia nel 1845, che ripresero a produrre vetro filigranato dai colori vivaci e dalla varietà di intrecci e alla produzione dell'”avventurina” e di Lorenzo Radi coi “calcedoni”. Successivamente, nella metà del secolo, i fratelli Toso fondarono la fornace omonima e nel 1859 Antonio Salviati creò il laboratorio collaborando con l’abate Vincenzo Zanetti alla Fondazione dell’Archivio e alla Scuola di disegno per vetrai, che diverrà Museo del Vetro. Scuola e Museo erano strettamente connessi poiché gli allievi diventavano maestri se abili a riprodurre fedelmente gli oggetti antichi. Dopo la guerra del 1866, con l’annessione del Veneto all’Italia, rinacque lo splendore dell’attività muranese. Infatti, nel 1866 Antonio Salviati riattivò la produzione e il commercio del vetro soffiato esportando soprattutto a Londra. In quest’epoca Vincenzo Moretti creò i “vetri murrini” della Compagnia di Venezia e Murano riproducendo i vetri a mosaico romani. Gli artigiani riproposero anche i vetri paleocristiani a foglia d’oro esposti all’Esposizione Universale di Parigi del 1878 e i vetri smaltati tra i quali la “Coppa Barovier”, conservata al Museo, che ne costituisce l’opera prima; invece, nella tecnica che riproduceva le ceramiche di scavo, vi sono i vetri Corinti e Fenici prodotti dalla Compagnia di Venezia e Murano, da Salviatti e dai Fratelli Toso. Verso gli anni novanta in tutta Europa nascevano movimenti innovatori, ma a Murano si continuava a produrre vetro ottocentesco. Nel 1895, però, i Barovier, all’apertura della prima Biennale di Venezia, produssero calici leggerissimi con gambo a spirale di chiara foggia Art Nouveau.
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Il Novecento
Il XX secolo comincia a Murano con nuovi processi di lavorazione del vetro di foggia moderna. Il primo innovatore fu Vittorio Toso Borella, che creò, intorno al 1909, due ciotole in vetro leggerissimo decorate con aironi e fiori acquatici a smalto trasparente. A Vittorio Zecchin, artista del gruppo secessionista di Cà Pesaro, si devono creazioni in vetro mosaico realizzate nella fornace dei Barovier ed esposte a Cà Pesaro nel 1913. Nel 1914 divenne famosa la lastrica “barbaro” disegnata dal pittore Teodoro Wolf Ferrari.
Dopo l’interruzione dovuta alla prima guerra mondiale, le fornaci ripresero la produzione adottando uno stile essenziale e funzionale. Poco dopo la cessazione del conflitto iniziarono le collaborazioni tra artisti e fornaci. Vittorio Zecchin stesso divenne direttore artistico della “Vetri Soffiati Muranesi Cappellin Venini e C.“, nata nel 1921 e specializzata nel recupero degli stili dei vetri cinquecenteschi, tratti dai dipinti rinascimentali, come ad esempio il “Calice Costolato” ed il “Vaso Veronese”. Altri artisti come il pittore Guido Cadorin e lo scultore Napoleone Martinuzzi collaborarono con le aziende e quest’ultimo, nel 1925, alla separazione di Cappellin e Paolo Venini, divenne direttore artistico della “Nuova Vetri Soffiati Muranesi Venini e C.” fino al 1932. Tra le sue opere, che denotavano l’esperienza di scultore, gli anatroccoli in vetro e filigrana del 1929 e un tipo di vetro opaco con bolle d’aria o “puleghe” inglobate, detto perciò “pulegoso”, oggetti di spessore consistente come frutti, funghi e piante grasse decorate da nastri.
Negli anni venti Umberto Bellotto si distinse perché accostò il vetro al ferro battuto e collaborò con la Pauly & c. e prima con Barovier, che era la vetreria artistica più attiva tra il 1920 e il 1930 e si avvaleva del tecnico e designer Ercole Barovier. Seconda per importanza era la S.A.L.I.R., nota per il vetro inciso e per la collaborazione dell’acquafortista Guido Balsamo Stella e dell’incisore boemo Franz Pelzel.
All’inizio degli anni venti riaprì la Salviati con la collaborazione di Dino Martens e del pittore Mario De Luigi. Nel 1940 si cominciò a considerare come tradizione vetraria anche il vetro di grosso spessore e dagli anni trenta si datarono i vetri di Carlo Scarpa per Venini. Dopo la guerra, con la ripresa dell’attività, si distinsero Ercole Barovier e Giulio Radi per la AVEM, per l’uso di coloranti metallici, mentre Alfredo Barbini modellò a caldo una serie di sculture. Archimede Seguso, perseguendo le tecniche tradizionali, realizzò in filigrana preziosi tessuti. Dagli anni cinquanta la fornace di Paolo Venini collaborò con designers di ogni nazionalità creando con il vetro mosaico piatti e vetri da tavola. A Murano oggi il vetro è diventato espressione d’arte pura a cui gli artisti si dedicano servendosi delle fornaci ma senza vincoli di produzione seriale.